Dal Barbera alla tastiera, la delusione del tifo rosanero

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A qualcuno è apparso che bastasse poco per risorgere dalle ceneri di un’era dorata, dai connotati quasi magici, ma culminata in tragedia sportiva. A qualcuno è apparso che fosse sufficiente la presenza di un solo sostenitore a colmare l’assenza di pubblico che riempie lo stadio, di una folla che defluisce, a fine partita, in direzione viale del Fante o Pallavicino. O anche verso via Alcide de Gasperi, per motivi di residenza o solamente perché la tensione prepartita blocca “il pititto” che sfocia poi in un sacrosanto panino panelle e crocchè in piazzetta.

Il vero peccato è che il cuore pulsante del tifo rosanero, sia esso da curva, gradinata o tribuna, non solo sia adesso profondamente arrabbiato e deluso, ma che debba sfogare quella rabbia dietro una tastiera, sui social impazziti per un progetto dichiarato ma nei fatti forse solo millantato. Oppure, che quella delusione debba finire appesa al di fuori dello stadio che per i tifosi significa storia, passione e tradizione.

Tuttavia, se invece il pubblico ci fosse, qualcun altro dice, ci sarebbero introiti economici tali da permettere tutta un’altra storia. La storia di tante anime felici, festanti, gioiose, che vedrebbero un Palermo vincente e dirottato verso gli unici traguardi che competerebbero alla dimensione della città.

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Purtroppo invece ci si ritrova, investiti dagli eventi, a dover attendere la Ternana come si accoglierebbe la Juventus in serie A, con rispetto e un po’ di timore, piuttosto che con la spavalderia di chi affronta un nemico con cui sa di potersela giocare alla pari. Il tutto con il contorno di un mercato appena terminato con l’innesto di un nuovo centrocampista e per il resto tanti, troppi dubbi. Nessuno si aspettava i botti, quelli che ci hanno impedito anche a Capodanno e che non si sono visti nemmeno ad alti livelli. Ci si attendeva però un input, un segnale, una semplice fiammella che potesse riaccendere gli entusiasmi di una piazza tanto facile, forse, a criticare, quanto però, anche, ad esaltarsi al minimo segno di presenza. Una presenza che non c’è, o che quantomeno si fa molta fatica a sentire, ad avvertire.

E SE INVECE…?

Ad un certo punto, volenti o nolenti, viene davvero da chiedersi: se il cuore che batte e riempie le casse fosse presente, le cose sarebbero davvero così diverse? O rischierebbe di essere comunque l’unica presenza reale, vera e tangibile? La risposta non ce l’abbiamo, ma ciò che è certo è che la tragica situazione che viviamo e che esula dal calcio ha finito per danneggiare maggiormente, come è ovvio, chi già da prima non godeva di basi solide. E allora, come si evince dai primi sintomi di cedimento e rassegnazione, il vero peccato, adesso, è che quel pubblico che non c’è, invece c’è e si fa sentire. Rimanendo, sempre, in attesa di un segnale.

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