La nota stonata nelle parole di Filippi. Sembra un Palermo senza ambizione

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C’è una sensazione fastidiosa, dopo aver sentito le dichiarazioni di mister Filippi dopo il pareggio in casa della Juve Stabia. Come ascoltare una nota stonata in quello che, per il resto, è un disco sentito più e più volte.

“Soffermarsi sulla classifica è sbagliato; dobbiamo ragionare partita dopo partita, prestazione dopo prestazione. Il Bari nasce coi favori del pronostico e lo sta rispettando. Spero che noi continuiamo a inanellare buone prestazioni. Non posso analizzare quello che succederà domani. Sono contento della prestazione”, ha detto, in sostanza l’allenatore del Palermo. Ma non è il giudizio sulla gara dei rosanero a stridere; in fondo, rispetto alle precedenti trasferte, la squadra si è espressa meglio, sul piano dell’intensità quanto meno, e non ha preso gol, per la prima volta, lontano dalle mura amiche. Già è qualcosa.

No, a stonare è altro. Quel “ragionare partita dopo partita”. Si ha come l’impressione che Filippi, rispetto alla scorsa stagione, non abbia fatto il salto mentale necessario per chi è chiamato a allenare una squadra che punta, o dovrebbe puntare, alla promozione. Vivere “alla giornata”, accontentarsi della prestazione, bastava l’anno scorso. Il tecnico di Partinico fu chiamato per gestire quel che restava del campionato dopo l’esonero di Roberto Boscaglia, del quale era il vice.

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L’ANNO SCORSO HA FATTO IL MASSIMO

In quella circostanza sì che poteva guardare alla prestazione. Aveva una squadra figlia di tanti errori, nella costruzione in fase di calciomercato estivo, nella insistenza in soluzioni tattiche e persino di uomini, di tante emergenze, come il dilagare del covid nel gruppo e un calendario reso schizofrenico, allungato e compresso come un elastico per le tante partite rinviate e da recuperare in uno spazio temporale ridotto, che avevano portato il Palermo a galleggiare nell’anonimato della metà classifica, con un andamento altalenante e mai convincente. Preso il Palermo ai margini della zona play off, Filippi si poteva accontentare della prestazione, di far vedere qualcosa di meglio, un gruppo più compatto, con poche ma ferree certezze, e quel che veniva si contava. Cosa si poteva chiedere, a quel punto, a quel gruppo? Venne tanto, a essere onesti, ben più di quello che ormai tutti si aspettavano e l’uscita dai play off per mano dell’Avellino sembrò persino ingiusta, per come era arrivata, nel doppio confronto.

IL BARI E’ IN FUGA

Quest’anno è diverso; la società ha costruito una squadra cercando di evitare di fare gli stessi errori, a completato l’organico puntando alla promozione. Ma Filippi sembra non aver compreso che l’obiettivo è cambiato. Non si può affrontare il campionato badando soltanto alla prestazione, quasi che si fosse indifferenti al risultato. E’ proprio quello, invece, il fine principale, l’unico. Tanto più se, poi, le prestazioni non arrivano o arrivano per metà, come a Castellammare, e non portano quasi nulla, se non un punto che come una beffa allontana ancora di più i rosa dalla capolista Bari: meno sette punti in sole sette giornate. I risultati, certamente, sono figli della prestazione, ma hanno anche tanti altri “genitori”, ovvero il carattere, la voglia, il cinismo, la concretezza, la chiarezza dell’obiettivo, che spinge i giocatori a dare quel qualcosa in più in campo, magari a scapito della bellezza, a far sì che il totale della squadra sia superiore alla somma delle qualità dei giocatori.

E questa motivazione la può dare soltanto l’allenatore, se lui per primo l’ha chiara nella sua testa. E’ lui che deve far scattare la molla, che deve far andare ciascun calciatore oltre lo svolgimento del “compitino” in campo per assicurare la famosa “prestazione”.
Perché se guardiamo a quello, ebbene, sì, il Palermo ha fatto un passettino avanti, rispetto a Taranto o a Monterosi è tutta un’altra storia, ma siamo lì, con un solo punto in mano, a guardare il Bari sempre più lontano, a sperare che sia lui a rallentare perché noi, il suo passo non siamo in grado di reggerlo.

Il Palermo non è mai sembrato entrare in campo col piglio di chi vuol “dettare legge”, vuol imporre all’avversario il timore reverenziale della sua ambizione, della consapevolezza della sua forza tecnica e mentale, della convinzione dei propri mezzi, della fiducia in quei concetti tattici che, ormai, dovrebbero essere acquisiti. Ci sono pure delle scelte del tecnico che hanno convinto poco, riguardo al centrocampo, soprattutto, che pare sempre sguarnito di fronte alla pressione degli avversari, all’utilizzo ostinato di giocatori non in piena forma. Ma quello che stona è questo: chi si pone una meta ambiziosa non può vivere alla giornata, “partita dopo partita”.

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