Spagna e Turchia, il calcio come propaganda

Usciamo per un attimo dal calcio a tinte rosanero, c’è bisogno di dare uno sguardo anche oltre il nostro giardinetto ogni tanto.

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Il saluto militare dei calciatori della Turchia a sostegno del regime di Erdogan
Il saluto militare dei calciatori turchi

Usciamo per un attimo dal calcio a tinte rosanero, c’è bisogno di dare uno sguardo anche oltre il nostro giardinetto ogni tanto. Politica e calcio una volta di più si intrecciano in una matassa inestricabile e quello che dovrebbe essere solo uno sport diventa, invece, la cassa di risonanza per fatti socialmente eclatanti. Questo in buona sostanza quello a cui stiamo assistendo in questo momento in Spagna e Turchia.

LA SITUAZIONE SPAGNOLA

In Spagna, alla notizia della condanna dei leader dell’indipendenza catalana da parte della Corte Suprema spagnola, subito sono esplosi importanti disordini. La risposta del Barcelona non si è fatta attendere. Con un comunicato pubblicato sul sito ufficiale, infatti, la società blaugrana prende le difese degli indipendentisti condannati. “La privazione della libertà non può e non deve essere la soluzione ad un problema che storicamente attanaglia la Spagna. Può esserlo, invece, il dialogo continuo fra le parti alla ricerca del punto d’incontro.”

PARLIAMONE, PAROLA DI PEP

Non si è fatta attendere neanche la reazione di un altro catalano doc come Pep Guardiola. In serata l’ex calciatore, attraverso un lungo videomessaggio, ha scagliato parole dure come pietre contro lo stato centrale spagnolo. L’allenatore del Manchester City ha parlato di “attacco contro i diritti umani e la libertà di espressione”. Ma anche di “deriva autoritaria che utilizza una legge antiterrorismo per condannare la dissidenza e la libertà di espressione”. Condannando la repressione, anch’egli individua nel dialogo (“Spagna, siediti e ne parliamo”) il solo e unico strumento per risolvere i conflitti.

MAMMA LI TURCHI

La Turchia, invece, è nel pieno di un conflitto nel quale le truppe del presidente Erdogan stanno attaccando militarmente la regione siriana del Kurdistan. Senza voler a tutti i costi entrare nel merito della questione (per la quale rimandiamo alla sensibilità di ognuno di noi) fa specie come un’enorme fetta della Turchia calcistica non lesini di mostrare il suo appoggio filogovernativo. Il gesto del saluto militare sotto la curva dei propri tifosi fatto dai calciatori della nazionale turca è una sottolineatura all’offensiva militare della quale il mondo sportivo avrebbe fatto volentieri a meno.

ERDOGAN? NO GRAZIE

Chissà se volontario o meno, resta il fatto che turchi famosi come Hakan Sukur (vecchia conoscenza del calcio italiano) e Enes Kanter (cestista turco NBA dei Boston Celtics) hanno espresso tutto il loro dissenso verso il gesto della nazionale della mezzaluna ma, soprattutto, verso il regime di Erdogan che – a loro dire – costringe loro ed i familiari all’esilio.

C’ERA UNA VOLTA LA JUGOSLAVIA

Purtroppo lo sport non è nuovo a situazioni del genere, anche più estreme. Come dimenticare un match del 1990 tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa, croati contro serbi in un incontro che – a vederlo a posteriori – è stata il prodromo di quella guerra dei balcani della quale siamo stati vicini di casa e che ha frammentato quella che era una superpotenza sportiva come la Jugoslavia in tanti piccoli stati indipendenti. Non prima, purtroppo, di aver fatto i conti con effetti collaterali di non poco conto: morte e distruzione.

CHE VINCA LO SPORT

L’importante è non perdere la speranza che lo sport possa essere un elemento inclusivo di questa società, non solo in Spagna e Turchia. Un valore, uno strumento per unirsi e ritrovarsi in una società che, dietro lo specchio di una globalizzazione solo economica, vive la logica della frase latina “divide et impera”, ossia controllare un popolo fomentandone odio e discordia.

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