Il mondo del calcio della serie A sta vivendo una ennesima giornata “calda”. Non piace il protocollo per gli allenamenti collettivi del 18 maggio proposto alle squadre dalla Figc dopo serrati confronti con Governo e Comitato tecnico scientifico. Inter e Milan, con Napoli, Atalanta, Cagliari, Verona, Sampdoria e Genoa, assieme ad altre, seppure in maniera più soft, bocciano le regole scritte dalla Federazione e dal Cts, e chiedono di riscriverle tutte, o almeno nelle parti più controverse.
In sintesi, secondo le squadre con questo Protocollo il campionato di serie A non può ripartire. Viene contestato il lungo ritiro di due o tre settimane, “tipo quarantena”, che viene considerato inutile. Basterebbe, dicono, i 10-15 giorni che precedono l’avvio del campionato.
L’idea di potersi allenare al massimo in gruppi di 7-8 giocatori è considerata limitante e non funzionale. I club di serie A, d’accordo con gli allenatori, vorrebbero potere partire subito con partitelle e schemi, e poi, dopo l’allenamento, dare la possibilità ai giocatori di potere tornare a casa.
Un altro punto dolente è rappresentato dalla responsabilità che il Protocollo addossa al medico sociale, a cominciare dalle rigide regole durante la preparazione. Non è possibile che debba rispondere lui solo del comportamento e degli eventuali contagi nella squadra.
Un altro importante nodo è rappresentato dalla data certa dei ritorno in campo della serie A. Il Governo nicchia nell’indicarla, mentre le società pretendono di saperla con precisione per potere rimettere in moto tutte le procedure, comprese le convocazioni, che non è un passaggio formale perché peserebbe poi sulla questione del taglio degli stipendi.
La sensazione è comunque che i club stanno cercando di alzare un muro, cercando lo scontro definitivo. Se da una parte ci sarebbe la possibilità di ricominciare, dall’altra invece ci potrebbe essere lo stop imposto dall’alto, che è l’unica forma che li tutelerebbe nei confronti delle televisioni. In mezzo c’è Gravina, il presidente della Figc, che vuole continuare, e si è battuto per evitare che il ministro Spadafora chiudesse tutto, seguendo l’esempio della Francia.
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