Luglio 2019 e quel carnevalesco sentimento di orgoglio palermitano che ha generato slogan come siamo aquile, siamo nati per volare – seppur si va in pullman – sembrano già lo sbiadito ricordo di una utopia che in primis il nostro sindaco Orlando, noto tiepidissimo tifoso rosa nero, ha gestito eleggendo “Papa” del nuovo corso del Palermo un giovane uomo dalla faccia pulita e lunga militanza sugli spalti. Da allora in una sorta di auto indotto Palermo Pride della maglia rosa nero, in una città complice, il filotto di dieci vittorie iniziali, spesso poco esaltanti ma comunque tali, questo sentimento di appartenenza e fierezza si è acuito con toni quasi di isterica euforia da notiziari da Istituto Luce. Era un momento in cui senza alcuna certezza concreta e l’azzeramento di qualsiasi accenno critico, si procedeva solo con il gioioso sostegno. Si è creduto che un rinascimento calcistico fosse possibile e per di piú con una forte se non esclusiva identificazione con il nostro stesso territorio ed i suoi attori.
Per “strada” c’era uno smodato, forse anche forzato, entusiasmo associato alle vicende del Palermo. Una manifestazione di gioia collettiva, che pareva quasi si giocasse in champions piú che in una mortificante serie D. Ma i risultati non arrivano solo con l’appartenenza, né con gli slogan.
La solida sostanza nel fare scelte orientate al perseguire il miglior risultato, costi quel che costi. Non con un sentimento di rivalsa locale con l’ingenua illusione che noi da soli siamo piú forti. La nostra storia calcistica dice che non è MAI stato cosí, ed è perfino da stupidi credere o illudersi che di punto in bianco si decida o si creda che cosí possa essere per “investitura comunale”.
Le sensazioni di una gestione troppo accorta per un campionato in D, l’eccessiva attenzione ad aspetti esterni alla sfera tecnica, hanno presto fatto breccia in quella parte di tifo piú analitica e meno avvezza al volemose bene senza se e senza ma. Una gestione che al via scelse proprio Pergolizzi, piuttosto che un tecnico di sicuro rendimento ideale, per motivi che ad oggi restano oscuri ai piú.
Evidentemente il famoso curriculum vitae del tecnico aveva proprio convinto chi lo ha posto sulla panca rosa nero. Adesso peró dopo aver ridotto da tredici a -1 i punti di potenziale scarto dal Savoia, tutto il progetto di gioiosa palermitanita “uber alles” è giá fortemente compromesso. E con esso mai come adesso appare lontana la certezza di vincere il campionato, nonostante i 10 mila abbonati ed un abbraccio fin troppo caldo. Un Palermo degno di tale nome era chiamato non a vincere, ma a stravincere con irridente e perfino noiosa superiorità questo torneo. Ma a monte il peccato originale forse è da ricercare proprio all’inizio di questa storia. È nato nei giorni del bando con criteri d’attribuzione e con silenzi, e opacità apparse a molti palesi e mai spiegate ex post perchè cosí aveva deciso Orlando. Bando poi assegnato in ossequio a questa presunzione di territorialità e appartenenza intese come qualità vincenti.
Ora è facile immaginare che esploderanno disperati appelli alla compattezza, a “riempirlo” (lo stadio) per Palermo – Roccella. Si dirà di default che nulla è perso, se non ci disgreghiamo in liti e divisioni. E forse è anche vero. Ma la sensazione è che, anche alla fine si sorridesse all’obiettivo raggiunto, appaia dubbia la forza di questa proprietà. Sono passati i fasti e disastri di Zamparini al Palermo, ma per far meglio non servono appartenenza e buonismo, servono imprenditori con reali mezzi finanziari, servono pratico cinismo ed una sana ossessione per il risultato tecnico sportivo. E non logiche locali o discorsi da libro cuore politically correct.
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