Trent’anni fa il gol all’Austria: Totò Schillaci divenne l’eroe di Italia ’90

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Quattro minuti per entrare nella storia del Mondiale e del calcio italiano. Quattro giri di orologio per cambiare il corso di una partita, per rompere il sortilegio che impediva agli uomini di Azeglio Vicini di violare la porta avversaria e trasformare in leggenda una carriera che un anno prima, col passaggio dal Messina alla Juventus, la squadra per cui tifava, sembrava già arrivata al culmine.

Quegli occhi sbarrati dopo l’ennesimo gol sono diventati il simbolo di quelle notti, l’aggancio per la memoria, il primo ricordo per tutti di quel torneo, paragonabili all’urlo di Tardelli nella finale del Bernabeu contro la Germania, nel 1982.

schillaci gol

Il 9 giugno del 1990, esattamente trent’anni fa, Totò Schillaci, palermitano del Cep, segna la rete della vittoria dell’Italia contro l’Austria, e far diventare davvero quelle notti “magiche”. Perché, se “magiche” lo furono davvero, quelle notti, fu soprattutto per merito di Totò: sei gol sui dieci della Nazionale in quel torneo portano la sua firma da Re Mida del calcio, il palermitano più amato d’Italia almeno fino all’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Dovevano essere i Mondiali di Baggio e Vialli e furono invece quelli di Totò Schillaci, proiettato a 26 anni sul palcoscenico più importante del calcio. Lui che fino a dodici mesi prima giocava in B, con maestri del livello di Scoglio e Zeman, forse il meglio per un attaccante. Totò Schillaci, orgoglio di Palermo e dei palermitani, anche se la maglia rosanero non l’ha indossata mai.

Torniamo a quel 9 giugno. Minuto 75 di Italia-Austria, Totò Schillaci entra in campo dalla panchina, in sostituzione di Andrea Carnevale. E’ un po’ la mossa della disperazione per Vicini; si sta concretizzando quella che alla vigilia della partita aveva descritto come la sua più grande paura: non vincere. L’Italia giocava benissimo, le occasioni fioccavano, ma davanti alla porta gli Azzurri avevano ripetutamente fatto cilecca. Era la Nazionale, forse, più forte di sempre, quella dei Roberto Baggio, Gianluca Vialli, e poi Bergomi, Baresi e Maldini, Ancelotti e Donadoni, del “principe” Giannini e di Andrea Carnevale, che poteva tenere in panchina Roberto Mancini e Aldo Serena, quella che godeva dei favori del pronostico per la vittoria del titolo.

Ma contro la coriacea Austria di Polster, nonostante un gioco spumeggiante e offensivo, il sostegno del pubblico di casa, il gol non arrivava; l’occasione più clamorosa fu un palo colpito da Ancelotti. Si materializzava un mezzo flop clamoroso quasi come la sconfitta dei campioni del mondo uscenti dell’Argentina, il giorno prima, nella gara di apertura contro il Camerun. Vicini chiamò il “picciotto”, convocato grazie ai gol messi a segno nella sua prima stagione nella Juventus, come gregario dei celebrati campioni che il ct aveva allevato nella sua Under 21. “Mister, dice a me”? aveva chiesto Totò, incredulo. Immaginiamo come tremassero le gambe di Schillaci mentre dava il cambio a Carnevale e muoveva i primi passi sul prato dell’Olimpico, davanti a quegli ottantamila spettatori e a tutti quei tricolori sbandierati sugli spalti.

schillaci 2

“La mia paura più grande era di fare brutta figura e non segnare”, ha raccontato poi il bomber. Durò per quei pochissimi 240 secondi. L’azione si svolse così: palla a destra per Vialli che dal fondo crossa al centro; Schillaci appostato tra i due difensori centrali austriaci, due giganti di quasi due metri, colpì di testa e mise alle spalle del portiere Lindenberger. Con quel pallone, anche tutte le paure finirono in fondo alla rete: quella di Schillaci di fare brutta figura, quella di Vicini di fare cilecca all’esordio e quella dei tifosi di tornare a casa senza poter festeggiare per le strade la prima di quelle Notti magiche.

Le streghe furono cacciate, almeno per quella notte. Ma Schillaci era destinato a tornare in panchina; contro gli Usa, la partita successiva, partì di nuovo titolare Carnevale. Giannini risolse la partita con un gol, ma quel match sarà ricordato per il “vaffa” di Carnevale a Vicini proprio per il cambio con Schillaci. Il palermitano diventa titolare dalla partita dopo, contro la Cecoslovacchia ed è subito gol, al 9′. Altro colpo di testa vincente, su un pallone arrivato dopo un rimpallo su tiro dal limite dell’area. Ma è la capacità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto e di trasformare in “oro” anche in palloni “sporchi” a spiazzare e cogliere di sorpresa i difensori avversari che, proprio, non riescono a marcare quello sconosciuto asso nella manica del ct dell’Italia.

Poi Schillaci metterà il timbro in ogni gara, contro l’Uruguay, agli ottavi segna un gran gol con una bordata imparabile di sinistro da oltre 20 metri, contro l’Eire ai quarti, di destro, appostato sempre là dove la palla sarebbe arrivata: tiro di Donadoni respinto dal portiere proprio sui piedi di Totò che piazza il pallone a porta vuota, con freddezza e precisione. Persino contro l’Argentina, nella semifinale in cui la magia di quelle notti svanisce, è il pallone che arriva sui suoi piedi, dopo la parata di Goycoechea sul tiro di Vialli; ma il palermitano è sempre dove deve essere, puntuale all’appuntamento con il gol. Non basterà: è la gara dello svarione di Zenga sul pari di Caniggia, del tifo di molti napoletani per l’Argentina di Maradona e del “gran rifiuto” di Schillaci a calciare uno dei rigori. “Avevo un acciacco fisico”, racconterà, “Volevo uscire già nei supplementari. Non ce la facevo più e ho preferito che lo battesse qualche altro. Forse sarebbe stato meglio che lo battessi io”. Il rigore lo calcerà nella finale per il terzo posto, contro l’Inghilterra, a Bari. Ma non avrà lo stesso sapore, per gli italiani. Quel terzo posto sa di sconfitta, quasi di fallimento. Tutti pregustavano il quarto titolo mondiale, che arriverà soltanto sedici anni dopo e avrà tanto di Palermo, pure quello, ma grazie ai giocatori approdati in Azzurro dal rosanero.

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Schillaci si laureò capocannoniere di Italia ’90, diventò una star internazionale, l’uomo simbolo del calcio italiano nel mondo, al pari di Paolo Rossi dopo il Mundial di Spagna del 1982. Fu designato miglior giocatore di quel Mondiale, vinse la Scarpa d’Oro e arrivò secondo in classifica per il Pallone d’Oro, dopo Lothar Matthaeus, capitano della Germania che quel torneo lo vinse proprio contro l’Argentina.

Dopo quel Mondiale, una lenta discesa, l’addio alla Juventus, nel 1992, il passaggio all’Inter e poi, nel 1994, il viaggio in Giappone, allo Jubilo Iwata dove chiuse la carriera, nel 1999.
Poi, appese le scarpe al chiodo venne tutto il resto, ma a noi è lo Schillaci calciatore che interesse, che vogliamo celebrare. Nel Paese del Sol Levante, Totò capì come con quelle notti magiche avesse costruito un mito di dimensioni globali. Un mito che, dopo trent’anni, è ancora vivo. Un mito che cominciò una sera di un 9 giugno, trent’anni fa esatti, come oggi.

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