Una vicenda che si trascina ormai da quasi trent’anni, quando Bruno Contrada venne arrestato (era il dicembre del 1992) per concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte d’appello di Palermo ha accolto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione presentata dall’ex numero due del Sisde. A Contrada, ormai quasi novantenne, sono stati liquidati 670mila euro.
“I danni che io, la mia famiglia, la mia storia personale, abbiamo subito sono irreparabili e non c’è risarcimento che valga. Io campo con 10 euro al giorno. Stare chiuso per il coronavirus non mi pesa: sono stato recluso 8 anni”: queste le parole di Contrada, dopo la decisione a suo favore. “Il denaro – dice – non può risarcire i danni che ho subito in 28 anni. Quando nel 2017 la Cassazione ha recepito la sentenza della corte europea per i diritti dell’uomo, confortata dalla decisione della grande Camera di Strasburgo dove 17 giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’Italia ho provato un momento di gratificazione”.
“Aspetto di leggere le motivazioni, il ragionamento e le argomentazioni della Corte – spiega – Non ci sono soldi per pagare le sofferenze che la mia famiglia ha subito. Mio figlio che era poliziotto è gravemente malato: un giovane che ha visto il padre, dirigente generale della polizia di Stato la stessa di cui lui indossava la divisa che per lui era un mito, arrestato e accusato di cose gravissime. Mia moglie che si è ammalata di cuore subito dopo il mio arresto. Ci può essere risarcimento?”.
Arrestato nel 1992, Contrada (che si dichiarò estraneo al reato) venne in un primo tempo assolto in appello, e poi condannato in via definitiva nel 2007 a 10 anni di carcere. Richiesta di revisione del processo che venne respinta la nel 2011, mentre nel 2012 venne scarcerato. In tutto su 10 anni di carcere previsti Contrada ne ha scontati quattro in carcere e quattro ai domiciliari, e i restanti due gli sono stati condonati per buona condotta.
Nel 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo aveva condannato lo Stato italiano poiché ha ritenuto che la ripetuta mancata concessione degli arresti domiciliari a Contrada, sino al luglio 2008, pur se gravemente malato e malgrado la palese incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario, fosse una violazione dell’art. 3 Cedu (divieto di trattamenti inumani o degradanti). E il 13 aprile 2015 la stessa Corte europea dei diritti umani ha condannato lo Stato italiano stabilendo un risarcimento per danni morali da parte dello Stato italiano perché non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
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