A Palermo c’è molta tensione ed esasperazione, e si comincia a parlare di rivolta. Un campanello d’allarme è suonato ieri pomeriggio, quando una ventina di persone si è data appuntamento da Lidl di viale Regione Siciliana, ed hanno riempito i carrelli. Poi, protestando per il mancato rispetto dei prezzi che erano indicati sui volantini, volevano andare via senza pagare. Solo l’intervento delle Forze dell’Ordine ha permesso di riportare la calma. Il riscontro della situazione tesa che si è creata in alcune fasce di popolazione cittadina, si ha sui social. Su Facebook sono sorti gruppi di persone che contano migliaia di iscritti in poche ore, nei quali si possono leggere post di gente che esprime tanta esasperazione, e addirittura c’è chi invita a fare fronte comune scrivendo «se ci uniamo siamo di più: questa si chiama rivoluzione nazionale».
Oggi in un articolo del Giornale di Sicilia che parla di questo argomento, viene riportato uno studio della Cgil, secondo il quale a Palermo e provincia un lavoratore su tre è in nero. In questo periodo sta succedendo che a causa del coronavirus, i divieti a uscire di casa per fermare i contagi hanno svuotato la città. E così succede che chi vive vendendo il pane per strada, chi finora ha guadagnato con la frutta e la verdura nelle bancarelle dei mercati tradizionali o in quelli rionali, da due settimane non incassa più un euro. Infatti in un gruppo Facebook scrive Salvatore: «Qui non ci deve essere nessuna rivalità di quartiere: Ballarò, Zen, Sperone, Cardillo, Villaggio Santa Rosalia. Dobbiamo essere uniti, e buttare le corna a terra a questi perché se aspettiamo via Libertà e viale Strasburgo… A me non mi interessa dei domiciliari, io sono in prima fila. O vinciamo tutti o perdiamo tutti».
Franco Calderone, responsabile in Sicilia del Movimento 24 Agosto, ha lanciato un appello al sindaco Orlando perché «si occupi subito di chi nella sua città non ha un euro per fare la spesa, siamo già in fila per la spesa: siamo già alla disperazione». Dello stesso tono sono i tanti post che si possono leggere nei vari gruppi. «Chi per giorno 3 aprile è pronto alla guerra lo scriva qui sotto e facciamo gruppo», dobbiamo rompere tutti i supermercati e se vengono gli sbirri…». Oppure: «Per farci sentire dobbiamo razziare i supermercati, come fanno in Siria e in Spagna, la protesta vera e propria è questa, così capiscono a cosa siamo arrivati».
Non mancano post inneggianti alla rivolta dei “gilet gialli” che in Francia aggirano tutti i divieti. In molti ci mettono la faccia, pubblicando video in cui sollecitano la rivolta sociale, mostrando anche i volti dei propri figli piccoli. Uno scrive: «Io non aspetto aprile, sono senza un euro, la mia famiglia deve mangiare. Perciò senza fare le pecore, scendiamo in piazza e pretendiamo i nostri diritti. Non facciamo chiacchiere, che fanno acidità. Chi fa la pecora e non scende in piazza, per me fa parte dello Stato, senza offesa per nessuno». E ancora, in un video uno che si firma Luky urla: «A casa ci possono stare quelli che hanno lo stipendio fisso, se noi dobbiamo stare chiusi lo Stato ci deve portare il cibo e deve pagare gli affitti, non siamo Cristiano Ronaldo: qui tre quarti di italiani lavora in nero. Ribellatevi».
Si può intuire che in città cova una situazione esplosiva, e se si parla di rivolta non è un fatto da sottovalutare. Il malcontento per la mancanza materiale dei mezzi di sostentamento non si risolvono con le promesse o con le conferenze stampa in televisione. C’è gente che è arrivata al limite di vivibilità, che ha famiglia e figli. Occorre prendere delle decisioni adesso, e non aspettare che succeda qualcosa per poi correre ai ripari.
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