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Coronavirus ricorda ai padroni dello sport che non vivono in un mondo a parte

Prima, lo juventino Rugani, poi il sampdoriano Gabbiadini; in Inghilterra, tre giocatori del Leicester e l’allenatore dell’Arsenal, Arteta. Il coronavirus, purtroppo, non risparmia e contagia anche giocatori e tecnici di grandi squadre, in Italia e all’estero, ricordando a tutti che pure il calcio fa parte di questo mondo, del mondo reale. Anzi, lo sport in generale, perché un caso di contagio di un tecnico ha indotto all’annullamento del Gp di Australia di Formula uno che, incredibilmente, sarebbe dovuto partire questo weekend.

Per “tutti” intendo proprio chi il calcio e lo sport lo gestisce e, finora, aveva fatto finta che fosse, appunto, un mondo a parte, immune, quasi indifferente a quello che succedeva fuori dagli stadi, dai campi di allenamento e dalle sedi delle federazioni. Fino a ieri, il virus aveva colpito qualche giocatore di serie C, categoria minore, banlieue del calcio, si poteva fare finta di niente: lì mica si parla di diritti televisivi milionari… Perché, lo abbiamo capito tutti, questo è il punto.

IL CALCIO NON È UN MONDO A PARTE

Sì, perché mentre in Italia il paese, piano piano, chiudeva per virus, al ritmo di un decreto al giorno, i governanti del calcio discutevano se continuare o meno a giocare, seppur a porte chiuse. E, allo stesso tempo, la politica tentennava e si contraddiceva: il primo decreto, quello che chiudeva la Lombardia e 14 province, diceva sì alle partite a porte chiuse e, subito dopo il ministro dello sport Spadafora, pur presente alla riunione del consiglio dei ministri, indicava lo stop. La Figc se ne lavava le mani e la Lega di Serie A si schermiva: non ci si può fermare, i calciatori sono come i lavoratori delle fabbriche e il decreto consente di giocare. Questo soltanto una settimana fa. La stessa pantomima si ripropone ora a livello internazionale, globale, con le coppe europee, con le grandi competizioni tipo Formula uno e olimpiadi.

LO SPETTACOLO DEVE CONTINUARE?

The show must go on, e scusate la banalità. I calciatori e gli sportivi non sono uomini come gli altri? Non possono contrarre il virus, come le altre persone, perché ipercontrollati prima di allenamenti e partite? Sì che possono e, infatti, è successo. Purtroppo.
Ma fino a ieri in Europa, si è giocato a calcio, in stadi pieni, con calciatori che segnano e si abbracciano, scambiandosi complimenti e sudore. Magari, pure il virus.
Eppure, i padroni della baracca, i Mangiafuoco del teatrino dei burattini, discutono ancora se bloccare tutto, se annullare o rinviare. C’è, tra la gente comune chi rischia di perdere tutto, commercianti, partite IVA, loro hanno in mente soltanto i soldi dei diritti TV. È comprensibile, siamo realisti, lo sport professionistico, ormai vive di quelli e, senza, si estinguerebbe immediatamente. È la logica che ha stravolto ritmi e calendari, quello contro cui i tifosi esponevano gli striscioni (contro il calcio moderno eccetera).

SERIE A CONTAGIATA DAL VIRUS

Ma, mentre si dice alla gente “state a casa”, i professionisti dello sport e gli staff di squadre, team e scuderie possono e devono girare per il mondo, a dispetto di tutto. Stadi chiusi al pubblico, persino ai giornalisti, ma non agli operatori della TV, anzi del broadcast che si è aggiudicato i diritti: nemmeno loro sono persone.
Ora basta, ora è arrivata la doccia ghiacciata: positivo un calciatore della Juventus, subito dopo una partita, quella con l’Inter, che non si sarebbe dovuta giocare, coi milanesi andati a Torino nonostante la Lombardia fosse zona rossa, blindata, e mentre la gara di Champions dei bianconeri era sub judice: rinviarla o giocarla in campo neutro? È arrivata la risposta: se volete, giocatela alla play station. Assurdo! È stata rinviata, ma se non fosse stato per il caso Rugani, chissà? In fondo, l’Atalanta è andata a Valencia, due giorni fa, e Bergamo è una delle province italiane più colpite. Pazzesco!

Lo sport fa parte di questo mondo e ne paga il prezzo, presidenti, sponsor e TV come i tifosi, costretti a mettere in quarantena la passione. Passerà, questa emergenza, ma non ci illudiamo che il ritorno alla normalità rimetterà in ordine priorità e valori. Ma, intanto, la realtà è questa e il virus lo ha spiegato ai padroni del calcio e dello sport. Lo capiranno? Boh?

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Stanislao Lauricina

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